Ciao! Avrò riscritto l’incipit di questa newsletter almeno una trentina di volte. L’idea di base è facile, l’esecuzione difficilissima. Diabolica. La mail del venerdì nasce per un bisogno personale all’inizio del mio viaggio in Will, di condividere:
lo spirito e la ratio delle decisioni che prendevo
riflessioni estemporanee che mi nascevano durante la settimana dai tanti stimoli che riceviamo tutti quanti quotidianamente e che non mi piace lasciar cadere
la visione sul futuro
Friday’s email è una mail sulla leadership dunque cui si è aggiunta anche la politica di recente, ovviamente. Ma la leadership è un tema che mi ossessiona dalla prima volta che mi è capitato di “gestire” altre persone sul lavoro. Pensai a un calciatore e al suo allenatore. A come la capacità dell’allenatore di riuscire a far giocare bene quel ragazzo possa influenzare sulla sua carriera. Campioni trasformatisi in brocchi per colpa dell’incapacità del coach di metterli nel posto giusto in campo. Tempo buttato. Guadagni andati in fumo. Malessere del singolo.
Perchè te ne parlo oggi?
Per 4 motivi:
Leadership e i loro popoli. La politica internazionale è affare complesso. Se in politica interna le tifoserie non funzionano, in politica internazionale è pure peggio. Ci sono mille domande che si possono fare, naturalmente, a partire dall’opportunità o necessità che la politica internazionale sia una costante affermazione della propria forza, reale e/o percepita che sia. Che quindi sia “muscolare” nella maggior parte dei casi
Se si accetta questo principio allora si può capire (non necessariamente giustificare) la risposta di Israele: Uno Stato che vive in costante paura di essere annientato (anche perché il suo nemico, e più prossimo vicino, lo ha scritto nel proprio statuto). Uno Stato che ha costruito per sé l’immagine di una super potenza militare e tecnologica che ora viene battuta da bulldozer e parapendii DEVE riscattarsi (sia internamente che esternamente) con la massima forza. Se il suo Governo poi è intriso di razzisti ed estremisti, allora quella risposta sarà di brutalità (impossibile da giustificare se diventano attacchi e violenze indiscriminate sui civili)
Il presidente della repubblica israeliano Herzog - ben lontano politicamente dal governo - alla domanda su cosa fare a Gaza e di Gaza “dopo” la reazione di Israele non ha risposto, arrivando a porre al giornalista la sua stessa domanda chiedendo "cosa ci consiglierebbe di fare lei?”. Anche questa è una grande mancanza di leadership, per un paese democratico e per una super potenza.
Powell diceva che per qualsiasi intervento armato si debba avere un obiettivo chiaro e raggiungibile. Verrebbe da dire che questo aiuterebbe anche nella proporzionalità delle risposte e degli interventi.
La domanda seguente però è: chi serve (non a chi, ma di chi è al servizio) la leadership? Verrebbe da dire che serve solo se stessa. È terrorismo. A chi serve quindi una leadership forte di Hamas e una forte di Israele?
per Hamas serve ad Hamas stessa. E basta. A controllare il territorio. Non serve alla questione palestinese che ha perso amici, non ne ha presi, con questo attacco terroristico. Serve ad Hamas per continuare a prendere soldi da Iran. Non serve ai bambini di Gaza, che muoiono in immagini strazianti. Non serve a Gaza che sarà strozzata da un assedio. Nulla unisce un Paese diviso (come era in parte Israele - da qui la scommessa di Hamas di attacare ora) quanto un attacco terroristico brutale come uccidere 250 ragazzi ad un rave è. Non la si chiami resistenza. Cosa ci si può aspettare se non la più dura risposta possibile da Israele e l’ingresso via terra a Gaza. Morti?! Nuovi lutti. Nuovo odio per anni a venire.
Bibi ha creato un gabinetto di guerra. Certo è unita nazionale ma che sia anche il fallimento di quel modello (e non solo il modello) di leadership? Oggi Israele è più lontano dalla soluzione dei due Stati e due Popoli, piu lontano dalla sicurezza e dalla sacrosanta necessità di avere la certezza che nessuno intorno ad Israele metti in dubbio il suo diritto di esistere.
vi sarà capitato di vedere il video della Ministra Israeliana contestata all’ospedale, all’urlo di “avete diviso il Paese”, avete distrutto e abbandonato questo Paese.
Io credo che il primo obiettivo della leadership di un popolo sia quello di consentire al popolo di non doversi preoccupare. La più grande ricchezza del mondo libero occidentale è che possiamo fare spallucce. Possiamo disinteressarci. ATTENZIONE, non sto dicendo che sia una cosa giusta, ma abbiamo il lusso di poterci disinteressare di ciò che succede a Roma e concentrarci sui nostri sogni ed ambizioni. Questo non è la priorità di Hamas perchè un gruppo terroristico non ha come interesse il bene di un popolo ed Hamas lo sta dimostrando.
Leadership forti e schemi consolidati. Senza se e Senza Ma. Questa locuzione è stata usata molte volte al presidio per Israele a cui ho convintamente partecipato a Milano nei giorni scorsi. Mi sono anche emozionato a ricordare i ragazzi uccisi al rave a pochi Km da Gaza. Ma questa cosa che non ci possano essere se o ma non mi piace. Non mi piace mai. Non mi piace in politica, dove le cose sono cosi complesse e sfumate nei loro contorni.
c’è poi il mondo social fatto di “se non la pensi cosi, allora sei…” cosa pronunciata da entrambe le tifoserie naturalmente
Ricordare ad Israele l’importanza del rispetto delle regole dei conflitti (perchè si, anche le guerre hanno le loro regole) per quanto i conflitti possano essere asimmetrici (Hamas non ha una caserma con fuori scritto Limite Militare invalicabile.. si mischia fra le persone, fra i civili in un’area molto densamente popolata. Non ha divise, non porta le armi apertamente), tutto questo non ci rende meno amici di Israele. Anzi.
Naturalmente questo vale anche al contrario: urlare con forza che Hamas (seppure sia una forza eletta e con supporto) è terrorismo, che non è resistenza partigiana, che non è liberazione della Palestina, che uccidere 250 persone a un rave è terrorismo, che uccidere bambini è un orrore, non vuol dire non essere solidali con l’idea per cui il Popolo Palestinese debba avere un proprio Stato.
Leadership di missione ed in prestito. Non credo si possa immaginare oggi, in un mondo cosi complesso uno stile di leadership che non sia di missione, non inteso di vocazione ma a tempo. Ad obiettivo. Qualcuno potrebbe obiettare che una leadership che parte cosi è monca, non ispira. Non sono d’accordo. Credo al contrario sia dimostrazione di consapevolezza di sé. Vuol dire sapere cosa fare, il perché e anche - o forse soprattutto - essere in grado di riconoscere quando il mandato di quella leadership è terminato
Pensate alla politica italiana. 1 su 2 degli aventi diritto non vota. Che sia il tempo di nuove leadership? Che sia il tempo per cui le vecchie leadership mettano al servizio le proprie competenze ed esperienze a favore di nuovi stili di leadership e nuovi/nuove leader?
La mia leadership oggi. Quando andare controcorrente è solo stupidità e quando invece è istinto/innovazione/disruption (che brutta parola)? Mi chiedo questo perché con NOS ci siamo buttati in un mondo incredibilmente tradizionale, la politica, in cui c’è i) chi distrugge perché fa tutto schifo (ma rifugge anche solo l’idea che allora una novità potrebbe cambiare qualcosa) ii) dice che fa tutto schifo ma vuole ciò che ha già, perché altrimenti non si va da nessuna parte (del cinismo come tattica oratoria in tema politico abbiamo già parlato in questa newsletter) iii) chi vuole il nuovo ma ci vede, o spera di vedere, il vecchio.
Come possiamo innovare se non cambiamo prima i linguaggi e le etichette?
Come possiamo cambiare se non cambiamo prima le persone e i modi?
Come continuare a portare un cambiamento, convinti della propria idea, senza chiudersi al fuori, al feedback, al miglioramento?
Sono riflessioni distanti fra loro naturalmente, per profondità e gravità ma possono avere una radice comune nella ricerca del bene, fatta di abnegazione di sè per l’altro
Avanti tutta
A