Ciao! Ho ricevuto il primo invito ad un evento di Natale. Questa cosa è avvenuta due giorni fa. Aiuto! Naturalmente, non è la cosa più importante successa in questi giorni. Trump ha vinto. Largamente. Oggi ho bisogno di parlare di 3 cose che ci insegna la politica e solo una è su questo tema americano e per evitare che la newsletter diventi di 13 pagine, andiamo dritti al sodo. Intanto, vi ricordo i prossimi appuntamenti:
1) Parlare di piattaforme è sbagliato
Oggi qualcuno pensa di fare l’innovativo dicendo che la campagna elettorale americana ha sancito il passaggio da old media a new media. Invece la cosa interessante, secondo me, è che ha sancito la rilevanza di alcuni snodi su queste piattaforme. Cioè non sono i canali dei candidati e neppure le loro campagne pubblicitarie al centro. La questione è stata: andare o meno da Joe Rogan? Andare o meno da All-In podcast. Andare o meno da questa o quell’altra star. E la cosa interessante ulteriormente secondo me è che Trump è stato chirurgico nell’andare in community aggregate per ascoltare il podcast, per ascoltare certi temi e che (penso ad All-in particolare che era partito bene e poi si è perso via) gli ha preparato la strada nel tempo. All-in è un podcast fatto da 4 miliardari tra cui anche storici, solidamente democratici come Chamath Palihapitiya che a un certo punto doveva essere addirittura candidato Governatore in California e poi sono diventati Repubblicani. Harris invece in larga parte si è affidata agli endorsement un po’ ingessati delle star sui social. Ma in gran parte quelle community delle star sono aggregate su altro, non sui temi e quindi il ritorno è stato diverso.
È influencer marketing 101 in cui pochissimi influencer davvero convertono e altri invece sono un pozzo in cui sono buttati dei soldi senza alcun ritorno. E si è visto anche in politica. Joe Rogan converte perché la community è già li per quello.
Da Trump c’è poi una ulteriore lezione secondo me, piuttosto cinica ma c’è. Prima regola, importante è riuscire ad assicurarsi un giorno in più per combattere. Avere anche la faccia da cül per farlo (e lui ne ha) e avversari e un sistema media che ti normalizza, ma intanto prima di tutto continuare ad esistere. Deinde philosofari
2) La politica mi ha insegnato a non fare.
Francamente, non vedo l’ora di dimenticarmi questa lezione. Non avevo mai “tirato indietro la gamba” per usare una metafora calcistica, eppure la politica in questo anno e mezzo mi ha lasciato questa tentazione in vari momenti. Che arriva dalla precedente lezione, cioè che meglio sopravvivere e avere un giorno in più per lottare. Il principio è che, in tutto questo gran rabelot che è la politica italiana, non sai mai cosa succede domani e quindi, intanto, tu stai coperto. Stai buono. Impegnati poco. Questa è la base dello scollamento che c’è fra gli eletti e i militanti.
Gli eletti hanno un tempo (la loro percepita distanza dalla prossima elezione, ossia la prossima volta che rischiano di perdere il lavoro)
Gli altri vivono il tempo con maggiore agonismo e dinamismo.
Se i secondi aspirano a diventare primi per via “interna” allineano i loro tempi a quelli dei primi e si ottiene la noia totale che è la politica italiana.
Naturalmente qui, come abbiamo detto tante volte, è un tema di capitale umano e risorse economiche. I partiti hanno pochi soldi, gestiscono male le cose, con una assoluta e assordante mancanza di management (questo vale per i piu grandi ma soprattutto per i piu piccoli, ovviamente, specie chi non prende contributi pubblici come il 2x1000). Questo porta gente di qualità a starne lontana (o avvicinarcisi e venirne risputati o schifati). Risultato finale? Chi resta, e sopravvive un giorno in più, magari alla fine ce la fa, diventa eletto e gestirà la cosa pubblica. Tanti soldi. Con le stesse poche qualità manageriali che aveva quando ne gestiva pochi e senza aver mai appreso nel percorso nuove competenze.
È la ricetta per il disastro che abbiamo davanti agli occhi.
3) Basta Yes, man. Detto da un militare
Mi è stato girato questo video. Ha i tempi dei discorsi pronunciati dai militari. Lenti, di base. Quindi prendetevi del tempo e dategli un po’ di fiducia ma vi assicuro ne vale la pena. In questa sede, non mi interessa ovviamente la questione spesa militare si/no etc.
Chi parla è il Gen. Carmine Masiello. Il Capo di Stato maggiore dell’Esercito (non so perché molti sono cresciuti che il più alto grado dell’esercito sia il maresciallo.. ma insomma per capirci lui è il capo dei militari dell’esercito..diciamo cosi!).
Quello che mi ha stupito è che nel citare un ammiraglio americano dice:
Non c’è più tempo per la mediocrità. Non c’è piu tempo per la burocrazia (e aggiunge lui, non c’è più tempo per le rendite di posizione).
Capite che non è un politico in erba. Non è il responsabile giovani di un partito liberale a parlare. È il capo dell’esercito ed è il più innovativo discorso che ho sentito da tempo. Ha persino creato una casella a cui invita tutti a scrivere, senza curarsi del grado, per segnalare come tagliare burocrazia nell’esercito.
Evviva chi ha il coraggio di fare discorsi come questo: frutto di vera competenza, urgenza comunicativa, incoraggiamento al cambiamento. E ripeto un’ultima volta: il capo dei militari invita a non fare gli yes, man! Capite che siamo arrivati al fondo dell’offerta di cambiamento quando la cosa più forward looking arriva da un generale, che per formazione e definizione dovrebbe essere meno propenso al cambiamento. Persino propensione all’errore!!!
Non è con la paura di pensare o e la paura dicambiare che facciamo il bene (dell’Esercito)... Dobbiamo superare la fessità del "si è sempre fatto cosi"
Avanti tutta!
A