Ciao! Non avrei mai pensato che questa cosa della newsletter mi facesse divertire tanto, devo essere onesto! Invece è bellissimo quello che sta succedendo, per tre ragioni almeno
La prima: i commenti sono tantissimi, di una civiltà straordinaria e con un reale dialogo fra voi. Mi sembra una cosa bellissima
La seconda: passo la settimana ad annotarmi cose sulla base delle prime reazioni che arrivano già il venerdì, quando invio la newsletter. Non citerò il solito pezzo del Piccolo Principe sull’attesa e la gioia stessa… ma ci siamo capiti!
La terza: scriverla a metà fra i temi della leadership aziendale, il dibattito pubblico e quello che succede in politica mi tiene più attento alle cose che mi appassionano, e quindi più vivo.
Insomma, grazie! E ora cominciamo.
Inseriamo la variabile TEMPO
Che a lungo in questa settimana si sia parlato del concetto di tempo, dei 10 secondi in particolare, è un caso, ma sono felice del video che ha fatto Francesco Oggiano sul suo profilo Instagram, molto ben fatto, perché si è preso il tempo di leggere la sentenza, usando il tempo che è stato di un trend, della polemica sull’opportunità o meno del trend, per leggere la sentenza, studiare e piazzare la stoccata da schermidore professionista e chiarire che nessuno aveva mai detto: sotto i 10 secondi la palpata non è violenza.
Avevo deciso di scrivere della questione tempo praticamente da subito, da venerdì sera scorsa, quando ho ricevuto il file audio che trovate nel video qui sotto.
Quanto pensiamo al futuro? E chi dovrebbe farlo? La politica può essere solo riflesso della società? Anche questa settimana le vostre risposte alla domanda sono state meravigliose e profonde. Le ho raggruppate per tematica e il fattore tempo, in qualche modo entra a gamba tesa.
Il difficile dialogo fra generazioni è stato tra i temi più citati e anche quello al centro del commento più votato. Il succo:
I vecchi non capiscono che non è che non abbiamo voglia di darci da fare, è che è tutto molto diverso dai loro tempi e soprattutto più complicato .
Ho studiato (purtroppo senza poterla finire) in una Scuola Militare. Il concetto del “ai nostri tempi era tutto più vero” quindi l’ho sentito fin da piccolino molte volte. Credo sia sempre presente, basta però poco per capire che con un po’ di relativismo si possono scorgere pro e contro nelle situazioni di ieri e di oggi. Che l’immobilismo non è un valore. Ne avevamo parlato in un incontro di Will Meets a Roma.
Oggi il digitale, una generale condizione di opportunità economica (seppure sperequata), alcune rivoluzioni epocali (le low cost, per citarne una) ci danno opportunità incredibili. Dall’altra, questo contesto porta maggiore competizione e quindi, più incertezza, più paure, ansia di fallire. Per molti, il lascito peggiore dei due anni di pandemia COVID era l’incapacità di vedere in maniera chiara in un orizzonte di qualche anno. Il tempo davanti a noi era incerto, dunque.
Una nebbia di incertezza impediva il pensiero al futuro.
Tante volte negli incontri dal vivo ma anche nelle risposte di questa settimana, tra i temi più complessi da trattare a pranzo la domenica c’è la questione climatica e il necessario impegno di ognuno fra comportamenti quotidiani e scelte della collettività. Il concetto stesso dell’eco-ansia è fondato sul sentimento dell’assenza di tempo e il conseguente bisogno di scelte radicali per invertire la tendenza.
La leadership come intende il tempo?
Che sia in azienda, in una associazione o in politica, la leadership è chiamata a creare consenso intorno alle proprie idee mettendole in ordine di priorità, un concetto che esiste proprio legato all’idea di tempo. “Faccio prima una cosa perché (e per dimostrare che) è più importante di tutte le altre”.
Quali sono però le dinamiche che possono entrare in gioco:
Presto, presto non c’è tempo: un riflesso abbastanza continuo della politica, specie italiana. Sulla base di un fatto contingente, magari rilanciato dai media, la politica agisce nell’emergenza, spesso però trascurando dati e visione di insieme sul tema. Ricordate quando per settimane si parlò solo di norme anti-rave, come fossero urgenza del Paese, a seguito di un rave in un edificio pericolante?
Non c’è tempo, non c’è proprio il tempo: per fare cosa? Per impostare il cambiamento o per vederne i risultati? E’ una distinzione importante.
Un esempio concreto? Lasciamo la politica da parte, se volete. Ho lasciato Will 3 settimane fa. La vita prosegue per Will, anche molto bene! Alcune cose si realizzano oggi, che discutemmo mesi fa. La tentazione di dire “l’ho fatta io eh..:” esiste. Perché negarla? Fortunatamente un secondo dopo rinsavisco e dico “sono felice che sia successa quella cosa” ma se, come accade in politica, il mantenimento del potere è legato al poter dire “questo l’ho fatto io” è evidente il disincentivo a fare cose che avranno effetti in un futuro lontano.
È lo shortermismo, bellezza!
Oggi lavoriamo per un domani cosi! È senza dubbio una richiesta che abbiamo più naturale in un contesto lavorativo e che stiamo perdendo l’abitudine di avere quando si tratta della cosa pubblica. Alla leadership in azienda chiediamo di indicarci una visione ampia (la nostra azienda esiste per contribuire a un mondo più…) e un secondo dopo di riempire quell’affermazione valoriale con azioni concrete (per questo motivo, faremo il nuovo stabilimento, la nuova linea di business ecc) a quel punto ci aspettiamo che ci dicano con quali risorse ( assumeremo xxx persone, investiremo xx in questo o in quella linea produttiva o formazione interna) per poi aspettarci una slide - la mia preferita - che gli americani titolano WHAT SUCCESS LOOKS LIKE.
Ecco il disegno del futuro! Se tutto va come abbiamo previsto, cosa ci aspettiamo che accada? E cosa deve succedere perché potremo dire di aver avuto successo?
Quando è stata l’ultima volta che la politica ci ha disegnato un’idea di mondo, magari partendo dai dati di oggi e spiegando le azioni, i numeri e le priorità per raggiungere il domani auspicato?
Non voglio però partecipare alla litania che scarica tutto sulla politica. Will si è definita da sempre una community di utenti e aziende consapevoli del loro impatto sul futuro, dando quindi a noi utenti, consumatori, elettori un ruolo attivo nella determinazione dell’offerta mediatica, di prodotti/servizi, e perché noi anche pubblica.
Eccoci quindi alla domanda della settimana:
Facciamo un gioco insieme. In campagna elettorale abbiamo chiesto (con risultati alterni) ai candidati intervistati da Will, di indicarci una priorità, un dato e una policy conseguente. Oggi chiedo a voi, qual è stato il politico/la politica che vi ha deluso di più o peggiore secondo voi e perché? Negli anni 90s/00s/10s fu XXX perché fece xxx. Oggi paghiamo ancora per colpa di xxx. Non pensateci troppo, scrivete di getto. Sarà più interessante sfatare (o confermare) piccoli grandi miti che abbiamo. Che ne dite?
Lo chiedo perché in queste settimane di grandi chiacchiere con tante persone, mi sono accorto che i giudizi che abbiamo - io in primis - spesso a distanza di tempo sono cambiati, mostrando come fossero ingenerosi inizialmente o molto poco puntuali oggi. Accusiamo leader di aver o non aver fatto questa o quella cosa, salvo poi scoprire diversamente. E quindi chiederci se con il nostro agire, commentare, influenzare abbiamo creato e preteso un diverso orizzonte di tempo.
Onwards!
ciao Alessandro, condivido una riflessione che ha fatto un sindaco molto bravo qualche giorno fa. "Le persone che si preoccupano per la fine del mese non si possono preoccupare per la fine del mondo." Parlavamo di clima e di "transizione giusta" nelle città. Il suo messaggio era: ci sono molte persone per cui il futuro non è una priorità, dato che tutto il loro spazio mentale è occupato da preoccupazioni molto più quotidiane, terrene, elementari. Questo ha una conseguenza. Anche quando c'è qualcuno in una posizione di responsabilità che pensa al futuro, ha presente una serie di scenari desiderabili, e lavora attivamente per raggiungerli (come ad esempio il sindaco molto bravo in questione), deve tener conto del fatto che non tutti hanno gli strumenti e il tempo di pensare al futuro allo stesso modo, e prendono decisioni e si formano opinioni sulla base di altre considerazioni e bisogni. Credo che riuscire a pensare al futuro pur continuandosi ad occupare del presente sia una capacità critica che si può sviluppare attivamente (e che ad esempio i media possono contribuire a sviluppare, aiutando le persone a mettere gli affari correnti in un contesto più ampio che guardi a quello che succederà o che potrebbe succedere, e alle sue conseguenze). Ma noto che è una sfida per tutti, indipendente dal grado diverso di ambizione o preparazione. A un sindaco chiedono molto più spesso di mantener pulite e sicure le strade che di preparare la città ad affrontare le sfide ambientali, sociali ed economiche del futuro. La tensione tra presente e futuro non è mai completamente risolta, e richiede lo sforzo quotidiano di "juggle" tra priorità in costante competizione tra di loro. Una cosa che cerco di ricordare a me stesso quando penso al futuro, è uno slogan dell'Università di Barcellona di anni fa, che è sempre rimasto con me, che tradotto in italiano più o meno diceva: "non preoccuparti per il tuo futuro, occupatene". Non mi sembra facile rimanere sani e ottimisti, ma forse è possibile? Sicuramente parlarne e confrontarsi aiuta. Buona fortuna per tutto!
La Politica si occupa dei problemi quando davvero non c’è più tempo. Bisogna occuparsi delle questioni anche quando non sono ancora emergenze. Basta con la politica dei bonus, servono riforme strutturali.