Mi piace immaginarvi ormai quasi in vacanza e quindi terrò queste riflessioni un po’ più brevi. D’altronde sto aggiungendo anche “la pesantata del giorno” quasi quotidianamente sul mio profilo Instagram… insomma mi devo contenere, cribbio (semicit.)
Sono arrivato a Torre dell’Orso (LE), un luogo del cuore per me, avendoci passato molte estati da bambino e spunto per molte riflessioni a partire dagli stimoli che ho ricevuto da piccolo (non molti, ahimè), la gentrificazione di alcuni luoghi, l’autenticità di altri.
Prima di arrivare qui, mi sono fermato in diverse tappe intermedie, più d’una in Puglia, parlando con un sacco di amici, ex colleghi e persone in generale che si danno molto da fare, a partire da tutte quelle persone che ho conosciuto a Conversano e che mi hanno raccontato le loro scelte di tornare al Sud. Grazie, Gianvito
Al centro, credo, ci sia l’importanza di creare un contesto che favorisca alcune scelte ed impegni:
contesto umano e culturale: come viene vissuto una scelta (ad esempio il rientro dopo anni al Nord o all’estero) dai contesti di amicizia, dalla famiglia? Un fallimento o un’opportunità per la comunità? Chi troverò accanto a me, fatta questa scelta?
contesto economico: quali sacrifici mi impone la scelta? E perché deve essere una scelta di sacrificio e non una opportunità? Quale orizzonte temporale incide nella decisione sul fronte economico?
contesto infrastrutturale: Ok, ma se si prende questa scelta, cosa troverò intorno a me come infrastrutture materiali, digitali, di competenze perché non finisca col ritrovarmi come un unicum e avulso da ciò che mi sta intorno?
Ora rileggiamo questo elenco puntato…
Rileggiamolo, tenendo a mente non il rientro dei cervelli, il southworking o quant’altro, ma l’impegno pubblico, la scelta di contribuire alla cosa pubblica. Le necessità somigliano, non è vero?
Moltissime delle persone con cui sto parlando in queste settimane sono particolarmente attive, sono parte di associazioni, di ONG, hanno dato vita a progetti locali o ad aziende che danno lavoro a molte persone e si impegnano nel sociale, eppure, quando poi “sfociano” nella politica, questa diventa lontana, brutta, disincentivante, immutabile.
A cosa ho pensato quindi, davanti a queste reazioni?
Cos’è la politica? È gestione del potere / È teatralità in televisione / È polemica sterile per ammaccare l’immagine dell’avversario? Perche se - auspicabilmente - non è nulla di questo, allora forse non è cosi lontana dall’attivismo delle persone che ho incontrato, è (anche) desiderio di impatto e di condivisione di competenze al servizio della comunità piu ampia. È davvero specchio della società?
Le etichette, i titoli, portano ad alterare il linguaggio e una aspettativa di un certo tipo di linguaggio. Will è nata dalla volontà di parlare di cose dell’attualità del mondo, senza usare il linguaggio, i toni, la cadenza tipica dei giornali, telegiornali ecc. A scuola, al lavoro, usiamo parole (finto) forbite anteponendole al contenuto.
Questo ci aspettiamo dalla politica forse? Che essa sia ad esempio quei 3-4 (inutili) minuti fissi di ringraziamenti agli organizzatori che ogni politico ripete all’inizio di ogni discorso? Che sia una finta pomposità del linguaggio o una metaforica lotta nel fango in una vetrina cosi che tutti possano guardare, divertirsi e concedere della notorietà (temporanea) ai contendenti?
Chi parla l'antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: "io parlo di queste cose per caso, ma la mia funzione è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia funzione è più in alto di tutto, anche di me stesso". La motivazione psicologica dell'antilingua è la mancanza d'un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l'odio per se stessi. La lingua invece vive solo d'un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d'una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l'antilingua - l'italiano di chi non sa dire "ho fatto" ma deve dire "ho effettuato" - la lingua viene uccisa." (I. Calvino)
Tattica e strategia sono concetti che non sempre vanno a braccetto, forse. Da una parte la tattica - intesa come le azioni specifiche intraprese verso un obiettivo - giustifica la lotta parlamentare, gli sgambetti, la delegittimazione e quella comunicazione che spesso ci allontana dal “teatrino” della politica, come la indicano a volte i giornali. La strategia rischia di essere irrealizzabile, se non si considera la quotidianità delle azioni tattiche. (sono finito anche stavolta a parlare di shortermismo…). Il rappresentante del popolo o aspirante tale deve usare la tattica per prendere o conservare il potere, strumento per realizzare la propria strategia ed idea del mondo. Se perde il potere o non lo fa perdere, non potrà realizzare le idee e quindi, in un certo senso, mai potrà dare soddisfazione a chi tra il popolo elettore, aveva dato fiducia. Ma solo questo ingrediente fa deragliare dall’obiettivo, deviando verso la gestione del potere come unica ragione della propria azione.
Individuare gli obiettivi, figli di una visione, elencare le risorse necessarie e (come sempre) what success looks like, cioè cosa ci aspettiamo succeda e quando possiamo dire che il nostro impegno ha avuto successo, può essere il modo per restare asciutti, evitare le etichette che condizionano il linguaggio e la (auto)selezione delle persone pronte a partecipare. E’ cosi? O la natura pubblica della gestione della comunità impone un approccio necessariamente differente?
La risposta di questo episodio - senza pretesa di essere l'unica possibile e sufficiente - sta nel linguaggio. Che deve essere innovato per tornare ad essere sincero, efficace e comprensibile.
La domanda della settimana
Quali sono allora le parole che bandireste dalla politica? Creiamo il nostro bingo delle parole che sentiamo in politica, che leggiamo sui giornali e che non vorremmo piu sentire, o almeno vederne drasticamente ridotto l’utilizzo. Resilienza? Sistema Paese? Combinato disposto? Impegno a 360gradi?
And the winner is…
Il politico che ha deluso di più tra quelli che hanno risposto (questo sondaggio non può e non vuole in alcuna maniera avere alcun tipo di rilevanza statistica, naturalmente) è stato Matteo Renzi. A lui però, va detto, son state dedicate anche le parole più belle. Tanto aveva fatto sperare (con un linguaggio diverso, priorità piu in sintonia) tanto più ha deluso, e in molti casi avete indicato “l’ego come motivo dell’avvio di una spirale discendente”.
Trovarci Aldo Moro e Pippo Civati, specie nella stessa classifica, mi ha fatto sorridere e pensare che la fuori c’è una ricchezza enorme di diversità di pensiero, e questo è meraviglioso.
Onwards!
Le parole sono importanti (cit.). Avoja. E' una questione fondamentale, eppure mi sono ritrovata spesso a chiedermi se fossi abbastanza chiara mentre inseguivo una certa intenzione comunicativa: quindi, credo che lo sia altrettanto la capacità di essere flessibili quando si conversa con qualcuno. Le parole sono tanto importanti, quanto lo sforzo di volersi capire davvero.
Sottoscrivo il bisogno di semplicità e di immediatezza, che non è solo un problema di chi parla, ma spesso anche di chi ascolta. La mia sensazione è che si ascolti sempre peggio, perché la necessità è ormai quella di trovare una risposta alle proprie domande e ribattere. Si è rotto qualcosa nel modo in cui conversiamo e ci relazioniamo con la politica. Non ci interessa più cosa dicono i politici, a meno che non riguardi strettamente noi, oggi. E ai politici non interessa più cosa dicono, a meno che non riguardi il caso del giorno, da gestire. La comunicazione si è velocizzata e polarizzata, diseducandoci alla relazione.
Per me va anche bene sentire "Sistema Paese", se alla fine mi fai capire cosa vuoi dire. Il problema è che si dica "Sistema Paese" senza completare frasi di senso.
Insomma, per chiudere il pippolotto (sorry): non credo che oggi la politica parli difficile (anzi, talvolta temo il contrario), credo che parli a vanvera perché sceglie accuratamente di cosa parlare o meno, sgusciando di fronte a molti temi che andrebbero affrontati con più onestà, perché iper-semplifica anche laddove invece, alcune cose andrebbero spiegate con cura, perché punta a guadagnare consenso, invece che a creare relazioni autentiche con gli elettori. Perché non è più fondata sull'ascolto.
La giustizia farà il suo corso, abbiamo fiducia nella magistratura