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Jul 21, 2023·edited Jul 21, 2023Liked by Alessandro Tommasi

Le parole sono importanti (cit.). Avoja. E' una questione fondamentale, eppure mi sono ritrovata spesso a chiedermi se fossi abbastanza chiara mentre inseguivo una certa intenzione comunicativa: quindi, credo che lo sia altrettanto la capacità di essere flessibili quando si conversa con qualcuno. Le parole sono tanto importanti, quanto lo sforzo di volersi capire davvero.

Sottoscrivo il bisogno di semplicità e di immediatezza, che non è solo un problema di chi parla, ma spesso anche di chi ascolta. La mia sensazione è che si ascolti sempre peggio, perché la necessità è ormai quella di trovare una risposta alle proprie domande e ribattere. Si è rotto qualcosa nel modo in cui conversiamo e ci relazioniamo con la politica. Non ci interessa più cosa dicono i politici, a meno che non riguardi strettamente noi, oggi. E ai politici non interessa più cosa dicono, a meno che non riguardi il caso del giorno, da gestire. La comunicazione si è velocizzata e polarizzata, diseducandoci alla relazione.

Per me va anche bene sentire "Sistema Paese", se alla fine mi fai capire cosa vuoi dire. Il problema è che si dica "Sistema Paese" senza completare frasi di senso.

Insomma, per chiudere il pippolotto (sorry): non credo che oggi la politica parli difficile (anzi, talvolta temo il contrario), credo che parli a vanvera perché sceglie accuratamente di cosa parlare o meno, sgusciando di fronte a molti temi che andrebbero affrontati con più onestà, perché iper-semplifica anche laddove invece, alcune cose andrebbero spiegate con cura, perché punta a guadagnare consenso, invece che a creare relazioni autentiche con gli elettori. Perché non è più fondata sull'ascolto.

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Jul 21, 2023Liked by Alessandro Tommasi

La giustizia farà il suo corso, abbiamo fiducia nella magistratura

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Jul 21, 2023Liked by Alessandro Tommasi

Le convergenze parallele

le dichiarazioni programmatiche

la facilità con cui i politici parlano senza sapere di cosa parlano

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Jul 21, 2023Liked by Alessandro Tommasi

Fedelissimi

I nomi delle leggi elettorali (porcellum etc)

Merito

Quote rosa

Scontro di civiltà

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Ben altro.

Ok, tecnicamente sono due, ma il benaltrismo reso noto da Salvini è la cosa peggiore che possa succedere in un dibattito pubblico, perché per la vera politica tutto dovrebbe essere una priorità, o meglio, niente dovrebbe essere sacrificabile rispetto ad altro. Praticare benaltrismo denota mancanza di empatia e di visione sul lungo termine, è una scappatoia e la cosa peggiore è che fa molta presa (non tanto sugli oppositori ma) su chi è ignorante.

Più in generale sul lessico della politica credo venga usato un po' come scudo, orientato in modi diversi, a vantaggio di chi lo impugna: ora per proteggersi dal cittadino che rischierebbe di capire troppo (e allora il linguaggio si alza e diventa aulico, tecnico, latino), ora per proteggersi dall'avversario politico (scendendo quindi su toni beceri ma comprensibile, che creano indignazione e divisione, "loro sono dei fessi, seguite me"). Le persone non sanno parlare bene perché non hanno buoni esempi.

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Ciao Ale! Sta volta, più che mai, ti sei superato perché hai toccato un tema davvero importante e di cui si parla troppo poco: il linguaggio come strumento di comunicazione. Io provengo da uno degli ambienti più formali che ci siano: faccio l’avvocato e ho fatto un dottorato di ricerca. Spesso mi sono trovata - accade ancora - a leggere articoli o atti incomprensibili, inutilmente pomposi e prolissi. Ma perché? Forse l’autore/autrice non ha capito realmente il messaggio che vuole mandare e si nasconde dietro paroloni? O magari crede che usando questo linguaggio super forbito lo scritto acquista valore e credibilità? La risposta è NO. La politica dovrebbe essere IL luogo del linguaggio semplice e diretto, alla portata di tutti. Penso che anche il linguaggio sia una forma di democrazia e se diventa stupidamente pomposo allontana anziché avvicinare. È una riflessione profonda la tua e, come sempre, grazie per la tua condivisione.

A venerdì prossimo,

Vania

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Da poco rientrato in Italia, devo essere onesto per tanti anni fuori mi sono abbastanza disinteressato della politica italiana. La cosa che mi ha colpito di più delle elezioni dell'anno scorso sono stati i manifesti elettorali in strada: da Meloni al PD mi ha colpito la mancanza di contenuti e di opinioni.

Pronti!

Scegli.

Ma che vuol dire? Pronti a che? Scegli cosa? Come se avere un'opinione chiara, precisa, pubblica sia problematico.

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“Ce lo chiede l’Europa”

“Per emergenza abbiamo dovuto...”

“È importante garantire i diritti per...”

“Serve cooperazione per...”

“Un futuro migliore...”

Questi sono i primi 5 virgolettati che riecheggiano nella mia mente quando penso alle frasi più citate e allo stesso tempo abusate (se non addirittura svuotate del loro stesso valore) dalla politica nostrana (solo?)

In un’era in cui le ideologie si riducono sempre più a semplici slogan di comodo, è cruciale prendere coscienza della sfida che ci attende: affrontare le complessità di queste idee richiede tempo e sforzo, poiché sono già intrinsecamente difficili da concretizzare.

Tuttavia, la tendenza ad abbassare il livello della comunicazione a meri spot e tweet, pur favorendo la viralità dei messaggi, ha avuto conseguenze negative innegabili.

Quest’approccio ha alimentato la polarizzazione becera, spingendo le persone a schierarsi senza sforzarsi di comprendere le posizioni altrui. La viralità può portare alla propagazione rapida di informazioni, ma spesso a discapito della verità e della comprensione accurata delle questioni complesse. E sfide complesse richiedono soluzioni ponderate e approfondite, non semplificazioni eccessive.

Serve promuovere un’analisi critica più profonda (siamo disposti al sacrificio?). In un mondo in cui la comunicazione è diventata un’arma a doppio taglio, dobbiamo abbracciare il valore dell’onestà intellettuale, altrimenti saremo solo un cane che si morde la coda.

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Esplodere un argomento, aggredire un problema, attenzionare qualcosa: possiamo farne a meno.

Poi al di là delle parole usate, mi farebbe piacere vedere una politica meno "urlata" e più "oratoria": ci stiamo abituando a uno standard di esibizionismo politico che passa dagli striscioni in Parlamento, agli slogan, al parlare sopra all'avversario politico per avere ragione, quando ci servirebbe un confronto un po' più maturo a quei livelli. Magari vedere la serietà nella nostra classe politica potrebbe elevare il modo in cui la gente parla e si confronta, se non addirittura il modo in cui ragiona.

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Le hai citate le principali e andrebbero dosate tutte, magari scomparendo per un po' prima.

Però la tua domanda mi ha fatto pensare, quindi grazie, e provo sotto a riassumere.

Queste parole e questo linguaggio di adesso dei politici è in grossa parte ispirato al gergo aziendale (o meglio delle "corporate", meglio ancora se grosse, americane, settore consulenza, ci siamo capiti.). A parte rarissimi casi (anche se non ne saprei citarne uno), nessun politico in Italia arriva da lì.

In un mondo che è cambiato alla velocità della luce rispetto alla loro epoca dell'apprendimento (ipotizziamo media anagrafica dei politici di primo piano in 55/60 anni), hanno tentato di adeguarsi ad un nuovo linguaggio, scegliendo ciò che attira di più tra inglesismi, gergo aziendale e indirettamente restituisce un'immagine di competenza.

Il problema è l'applicazione di un'etichetta a concetti reali (problemi/soluzioni per la gente), termini che nel loro habitat naturale sono usati (più o meno necessariamente) per fare la sintesi rispetto ad un sottostante, un metodo di analisi, di processo, di organizzazione, ben noti a chi li pratica tutti i giorni.

L'idea di fondo, a mio modesto parere, per chi ambisca a prendere scelte al servizio di qualcun altro, dovrebbe essere anzitutto poter apportare una competenza (perché come diceva qualcuno "l'opinione è quella cosa a metà tra la conoscenza e l'ignoranza") e poi rendere il concetto semplice, fruibile da chiunque.

Esprimere in termini evanescenti qualcosa di cui in fondo non si è troppo consapevoli, è di fatto l'antitesi. Come pretendere di apprendere da un libro leggendo l'ultimo capitolo.

Alla fine è un tema generazionale anche questo, un ricambio di persone che non c'è ancora stato. E "resilienza" e tanti altri, sono tentativi di aggrapparsi al presente da parte di chi vede la terra scorrergli sotto i piedi.

Ciao,

Davide

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Sicuramente "Ce lo chiede l'Europa" e "Professoroni" erano nella mia lista dei desideri, ma pare si siano esauditi. La prima perchè si preferiva scaricare la responsabilità sull'Europa nemmeno fosse un'entità superiore in cui non abbiamo voce in capitolo, mentre spesso le decisioni europee sono prese dai consigli dei ministri degli stati membri e/o dall'europarlamento in cui abbiamo una buona (quantitativamente) rappresentanza. La seconda perchè si viene demonizzata la cultura, come se essere un professore o spiegare un concetto a persone che palesemente non conoscono o non hanno capito ciò che hanno letto possa essere deprecabile. La cultura dell'ignoranza fa davvero paura, soprattutto quando la fuga dei cervelli è reale, i "professoroni" scappano e si resta circondati da questi hater della conoscenza. Nel mio death note delle parole, il prossimo concetto che vorrei scrivere sarebbe il grande classico "governo non eletto dagli italiani"

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Odio quando i politici parlano di "piani, progetti, pianificazioni, idee, visioni". La politica dovrebbe concentrarsi più sull'ascoltare e sul fare, non solo sul progettare. Quanti progetti, idee, piani rimangono incompiuti? quanto tempo perdiamo ad ascoltarli e perdono a pianificarli?

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Incolpare le amministrazioni precedenti

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“Prateria”

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“Perbenismo”

“Buonismo”

“Visione di lungo periodo”

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Sostenibilità (punto)

Ci stiamo lavorando..

Bisogna però ricordare che..

Sviluppo (punto)

Priorità (alla fine non lo è mai)

Interesse nazionale (vuol dire tutto e niente)

“Andiamo in Europa e”

Vediamo...

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